Tra surplus varietale e consumatori confusi

Simbolo della tanto decantata dieta mediterranea, il pomodoro da mensa italiano soffre. Si lamentano i consumatori, che fanno fatica a trovare frutti di buon sapore, e si lamentano i produttori, per via della insufficiente marginalità.
Lo confermano sia i consumi – che nell’ultimo decennio sono calati, passando da oltre 20 chili pro-capite annui a meno di 15 – sia le superfici investite, anch’esse in diminuzione. Tanti i cambiamenti all’interno del comparto, dall’aumento della segmentazione in un numero forse eccessivo di tipologie commerciali (datterino, ciliegino, plum, mini plum, ramato, cuore di bue, grappolo, costoluto, camone e così via), che disorienta il consumatore, all’aumento dell’incidenza della produzione in coltivazione protetta rispetto alla piena aria, arrivata nel 2018 al 47,2%; dalla crescita delle serre iper tecnologiche e del fuori suolo alla sempre maggiore offerta di nuove cultivar da parte delle ditte sementiere.
Ciò che non è mutato è il primato produttivo della Sicilia, tanto in piena aria (132mila t nel 2018, pari al 25,4% del raccolto italiano), che in coltivazione protetta (160.700 t, pari al 34,5% del raccolto nazionale).

CONCENTRAZIONE NEI TERRITORI VOCATI

La concentrazione nei territori vocati è uno dei vantaggi del comparto citati da Massimo Pavan, coordinatore del Comitato di prodotto “Pomodoro da Mensa” dell’Organizzazione interprofessionale (Oi) Ortofrutta Italia, al quale abbiamo chiesto di tracciare lo stato dell’arte del pomodoro italiano. «Punti di forza sono l’alta professionalità raggiunta dagli imprenditori agricoli, l’innovazione delle tecniche colturali, dei processi (si pensi alle serre ipertecnologiche che stanno sorgendo nel Ferrarese, Veronese e Grossetano) e la ricerca varietale, che, pur in mano a multinazionali, cerca di trovare le cultivar adatte ai diversi territori, creando anche centri di sperimentazione in loco. Tra le opportunità abbiamo che il prodotto made in Italy è molto rinomato sia in casa, sia all’estero».
«Siamo, poi, il Paese con la più alta sicurezza alimentare in tutta Europa – continua Pavan –. La nostra produzione è sostenibile dal punto di vista ambientale, a differenza dei pomodori olandesi che consumano tanta anidride carbonica per scaldare e illuminare le serre (in Sicilia, ma anche in Sardegna e Lazio, le serre sono fredde e illuminate dal sole). In coltivazione protetta si fanno meno trattamenti e si consuma meno acqua e questo dovrebbe essere spiegato ai consumatori. Anche per quanto riguarda le nuove richieste avanzate dall’Unione europea in materia di packaging siamo già pronti, anche perché il pomodoro si lavora a mano, non viene bagnato, per cui può essere lavorato in vassoio di cartone e flowpack in PLA compostabile (bioplastica derivante dall’amido di mais), risparmiando 15-16 grammi di plastica per ogni confezione. Insomma, le tecniche ci sono e le scelte sono guidate e imposte dalla grande distribuzione organizzata, che dice come vuole che sia lavorato il prodotto».

Confezione di Pachino Igp con QR Code informativo. Il Consorzio pone grande attenzione anche alla sostenibilità e sta per aderire all’Sqnpi, il sistema di qualità nazionale per la produzione integrata del Mipaaft

I PUNTI DEBOLI

Sul fronte delle problematiche Pavan cita quelle di carattere tecnico, virosi in primis, e climatico, che stanno determinando cambiamenti, quali il passaggio dal ciclo lungo al doppio ciclo di produzione (corto in verticale), e la crescita a dismisura delle serre fuori suolo in Germania, Polonia e Svizzera, che da marzo a novembre si stanno rendendo sempre più autosufficienti dalle importazioni.
La conseguenza per l’Italia, ma anche per la Spagna e la Grecia, è la riduzione della finestra dell’export.
Tra i punti deboli del comparto Pavan annovera «la mancanza di dialogo con la gdo, che orienta e impone le sue scelte, spesso scontentando sia il produttore che il consumatore. Oggi si può fare pomodoro made in Italy 12 mesi l’anno, ma non si può essere pagati come l’Olanda, € 0,40/kg. Il distributore deve offrire un prezzo adeguato, che remuneri almeno i costi di produzione (il 50% è costo della manodopera), considerando che per noi il break-even è € 0,80 – 0,90/kg. Il risultato di tale politica di prezzo è la diminuzione della produzione, senza entrare nel merito di altre anomalie, come il caporalato».
Conclude Pavan richiamando una delle grosse difficoltà degli imprenditori, ovvero «di orientarsi tra le tante proposte delle numerose ditte sementiere, che peraltro spingono a fare le prove su tutta la serra, esponendo le imprese a forti investimenti e rischi.
Oggi si parla di recupero del sapore di una volta, in realtà non c’è nulla di concreto, la varietà che unisce al buon gusto una buona resa per ettaro e la shelf-life richiesta dalla Gdo ancora non c’è. Il problema è che ormai il pomodoro è diventato una commodity, non può costare più di 1,30-1,50 euro a cestino e il produttore, per poter produrre a quei prezzi e non fallire, ha bisogno di fare una certa resa per ettaro che, insieme all’estesa shelf-life, spesso non va d’accordo col gusto.
Certamente, però, è in atto un gran fermento sul fronte delle varietà e il parametro gusto è diventato un driver prioritario per la ricerca».

Un volantino Conad con informazioni sul pomodoro rosso ramato

RICERCA IN FERMENTO

A proposito di innovazione varietale e lancio continuo di nuove proposte da parte delle ditte sementiere con conseguente difficoltà di scelta dei produttori e confusione dei consumatori al momento dell’acquisto interviene Salvatore Lentinello, presidente del Consorzio di tutela del Pomodoro di Pachino Igp: «Da almeno un anno il Consorzio cerca di essere il punto di riferimento degli associati, circa 150 imprenditori, organizzando incontri formativi su varie tematiche colturali, ivi compresa l’innovazione varietale, di cui si è fatto capofila per supportare la base sociale nello scremare le proposte, anche se i soci sono liberi di fare le proprie scelte.
Posto che come Consorzio siamo sempre alla ricerca di cultivar che possano esaltare tramite il gusto il legame col territorio, grazie allo scambio di esperienze con gli agricoltori, identifichiamo 3-4 varietà che riteniamo promettenti, sia in termini di gusto per il nostro consumatore, sia di resa sufficiente per i nostri associati, evitando di far testare ai singoli imprenditori decine e decine di nuove cultivar e di perdere un anno in prove».
«Insomma, supportiamo la fase di sperimentazione e poi di introduzione, che va fatta gradualmente per imparare bene a conoscere e produrre la nuova varietà – aggiunge Lentinello –. Nel selezionare le nuove proposte mettiamo al centro il consumatore, che deve riscontrare una differenza, un distacco netto tra il pomodoro generico e quello Pachino Igp».
«Nel 2018, ad esempio, c’è stato l’inserimento del plum Piccadilly e del mini plum o Datterino nel disciplinare di produzione. La risposta del consumatore è stata ottima e in futuro ci sarà una distribuzione tra le diverse tipologie offerte Igp – ciliegino, costoluto, grappolo, tondo liscio, datterino – essendo Pachino un territorio finito e sapendo che la crescita di una tipologia toglie spazio a un’altra.
Nel 2018 abbiamo registrato un aumento del 30% di prodotto commercializzato a marchio Igp, attestatosi sulle diecimila tonnellate, soprattutto grazie all’inserimento del datteriConfezione
di Pachino Igp con QR Code informativo. Il Consorzio pone grande attenzione anche alla sostenibilità e sta per aderire all’Sqnpi, il sistema di qualità nazionale per la produzione integrata del Mipaaft speciale pomodoro da mensa 36 terra vita n. 22-2019 5 luglio no». «Un’altra priorità del Consorzio è la comunicazione – prosegue Lentinello – perché, anche se il nome Pachino Igo è molto conosciuto, dobbiamo spiegare al consumatore che Pachino non è un qualsiasi pomodoro piccolo e rosso. Non è facile fare capire che Pachino è un’origine e non una tipologia di prodotto, un errore molto radicato.
Abbiamo in approvazione un progetto informativo e promozionale molto complesso, che prevede, tramite spot tv, social network, uso di ricettari e coinvolgimento di chef, di spiegare al consumatore come Pachino sia appunto un’origine, un territorio e che a Pachino non si fanno solo i ciliegini, ma anche i datterini, i costoluti e via dicendo, illustrando le differenze tra i diversi tipi di pomodori offerti perché, in generale, c’è un’enorme confusione a livello commerciale. Insomma, vogliamo rendere il consumatore consapevole delle scelte che compie, aiutandolo anche a dare il giusto utilizzo ad ogni tipologia di pomodoro.
Siamo anche convinti dell’efficacia delle azioni di rete con altre eccellenze del territorio, come il Limone di Siracusa Igp e l’arancia rossa di Sicilia Igp, per diffondere il valore dell’origine. In ultimo l’obiettivo del Consorzio è essere punto di riferimento dei soci, fare formazione per gli associati e informazione al consumatore e offrire col sigillo di garanzia Igp un pomodoro buono, sano e giusto».

Pomodoridi Pachino Igp in un supermercato con la locandina istituzionaleOi Ortofrutta Italia – Mipaaft.Anche la Gdocerca di educareil consumatore

I MESSAGGI DA COMUNICARE

Sull’importanza della comunicazione al consumatore per sostenere il consumo del pomodoro italiano interviene Nazario Battelli, presidente dell’Oi Ortofrutta Italia, che nel 2014 ha avviato il progetto annuale di promozione istituzionale in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole (Mipaaft), progetto che oggi si articola su una decina di prodotti.
«La comunicazione sul pomodoro è partita nel 2017 – dice Battelli –. L’anno scorso l’abbiamo rinnovata, individuando come mese di diffusione maggio, anche se il prodotto italiano è presente in vendita praticamente tutto l’anno. Nel 2018 abbiamo creato una campagna specifica a supporto del Pachino Igp e del ciliegino siciliano nei mesi di febbraio e marzo. L’impianto grafico adottato è flessibile, ogni punto vendita aderente può adattarlo alle proprie esigenze ed è prevista anche la possibilità di personalizzare i materiali col logo dell’insegna e del fornitore, ovviamente nel rispetto di un regolamento ministeriale d’uso.
Al momento per il pomodoro sono circa un paio di migliaia gli esercizi aderenti all’iniziativa su tutto il territorio nazionale, tra le principali insegne nazionali della moderna distribuzione aderenti ad Ancc-Coop, Ancd-Conad e Federdistribuzione, i grossisti di Fedagromercati e i dettaglianti della Fida».
«Il messaggio istituzionale veicolato è l’importanza di mangiare più ortofrutta italiana di qualità in stagione – aggiunge Battelli –. Per il pomodoro, in particolare, si punta a informare il consumatore sulle principali tipologie e al rispettivo miglior utilizzo in cucina per assaporarle al meglio.
L’informazione rivolta al consumatore è autorevole, perché viene da tutta la filiera – produzione, commercio e distribuzione – e dall’autorità pubblica. Per essere ancor più incisivi e meglio sostenere le aziende ortofrutticole italiane, auspico per il futuro un rilancio esterno del messaggio, per esempio tramite pagine pubblicitarie sui magazine o affissioni nelle grandi stazioni che, peraltro, potrebbe fungere da ulteriore volano per l’adesione crescente dei punti vendita al progetto di educazione e sostegno dei consumi di prodotto italiano».